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Gaslighting: che cos’è e come affrontarlo?

Si sente sempre più spesso parlare di gaslighting, un processo di manipolazione relazionale che consuma lentamente la vittima. Vediamo in cosa consiste e come affrontarlo.

Il vocabolario Merriam-Webster nel 2022 ha eletto il termine “gaslighting” “parola dell’anno”, ma di cosa si tratta e quali sono le caratteristiche di questo fenomeno di cui si parla sempre più spesso? Scopriamolo insieme.

Che cos’è il gaslighting?

Il gaslighting è una forma di abuso e manipolazione psicologica, particolarmente subdola e violenta, in cui una persona compie degli atti volontari con l’obiettivo di annullare l’altro, facendolo dubitare di sé stesso e della sua stessa sanità mentale. L’abusatore lede l’autonomia e la capacità di valutazione della vittima mettendo in piedi asserzioni e constatazioni false e le presenta alla vittima come verità, con lo scopo di porla in una posizione di dipendenza psicologica e fisica e assumerne il pieno controllo.

Per via della sua natura ambigua e perversa, il gaslighting è difficilissimo da riconoscere. Per questo motivo, spesso chi è vittima di questo fenomeno è ignara di esserlo effettivamente.

Il manipolatore tiene in pugno la sua “preda” grazie a una debolezza emotiva e psicologica indotta ad arte; la conduce a sentirsi pazza, incapace di ragionare e controllare sé stessa. Per la ‘vittima, il soggiogarsi all’altro diventa l’unica strategia per stare al mondo, la sua identità appartiene al carnefice, che ne dispone a piacimento.

Il gaslighting può verificarsi all’interno di una coppia, ma anche in famiglia e sul lavoro. All’interno della famiglia, un esempio di gaslighting lo si può riscontrare nella relazione che si instaura tra genitore iperprotettivo o autoritario e figlio. Il genitore gaslighter spesso è un genitore narcisista, che adotta una modalità relazionale basata su un eccessivo senso di protezione, senso di colpa e de-responsabilizzazione.

Anche sul lavoro è possibile imbattersi in una personalità gaslighter. In questo caso, l’abusatore può essere un collega alla pari oppure un superiore, per titoli o responsabilità. Il gaslighting sul lavoro è una forma di violenza psicologica che rientra nel mobbing.

In ogni caso, l’obiettivo del gaslighter è sempre quello di destabilizzare le sicurezze della vittima, di sottometterla e impedirle di esprimere le proprie idee.

Origine del termine

Il termine gaslighting trae origine dal film di George Cukor “Gas Light”, che racconta la storia di Paula, interpretata da Ingrid Bergman, vittima del marito Gregory (Charles Boyer), un abile ladro che la induce a credersi pazza per impossessarsi di alcuni gioielli di famiglia senza che lei se ne accorga, utilizzando come strategia quella di alterare le luci della lampada a gas della casa in cui vivono.

Quando la moglie si accorge del calo di intensità della luce, il marito le fa credere che tutto dipenda della sua immaginazione, arrivando a farla dubitare di se stessa e della sua percezione della realtà, fino a spingerla a credere di stare impazzendo.

Come agisce un gaslighter

Il manipolatore è generalmente un soggetto dalla personalità narcisistica, maligna, che spesso presenta anche una quota di antisocialità.

Il gaslighter manipola, svaluta e controlla. Inizialmente, per manipolare la vittima, il gaslighter utilizza una sottile ironia, poi passa a criticarla e screditarla apertamente, minandone l’autostima, insinuando dubbi sulla sua moralità, intelligenza e onestà. Il manipolatore colpisce anche i punti di riferimento affettivi della vittima, per condurla progressivamente all’isolamento.

Ogni volta che la vittima appare sul punto di crollare, o anche quando asseconda le sue richieste, il manipolatore utilizza un rinforzo positivo, come parole d’affetto, elogi, cenni di stima, per tenerla in pugno.

Il manipolatore affettivo può anche arrivare a negare la realtà, affermando che la vittima ha una cattiva memoria e che ciò che dice sia frutto della sua immaginazione.

Quando si sente messo alle strette, il gaslighter attacca la vittima spostando il focus dell’attenzione su argomenti differenti rispetto al punto iniziale della discussione. La vittima viene così messa nella posizione di difendersi da nuove accuse e finisce con il giustificarsi per qualcosa che non ha commesso.

Infine, il gaslighter utilizza il silenzio come strategia preferenziale. In sostanza, il manipolatore finisce con il rifiutare ogni forma di comunicazione con la vittima, utilizzando questa strategia come metodo di punizione. In questo modo la vittima tenderà ad assumersi tutte le colpe per aver causato la rottura della relazione, e tenderà quindi a scusarsi per il comportamento messo in atto, sottomettendosi ancora una volta al suo carnefice.

Il profilo della vittima di gaslighting

La vittima di gaslighting, invece, presenta tratti di dipendenza e sviluppa sintomi depressivi di rassegnazione e negazione dei propri bisogni. Molte volte ripete schemi di sottomissione e si muove a partire da tratti di angoscia da separazione. Capita spesso che la vittima sviluppi proprio un disturbo post traumatico da stress.

La persona che subisce gaslighting è lei stessa a dubitare della propria sanità mentale, lei stessa a proporre a chi ascolta una ‘diagnosi’ di disturbo psichico. In molti casi la vittima di manipolazione non sa di esserlo, e riporta insicurezza, episodi di smarrimento, sensazione grave di inadeguatezza e insoddisfazione personale.

Come uscirne

È innanzitutto molto importante cercare di credere alle proprie sensazioni e condividerle con persone che siano leali e super partes, evitando di colpevolizzarsi subito e di fidarsi di una sola persona, quella che ci manipola.

Sebbene sia difficile accettare che qualcuno possa volere destabilizzare la persona a cui dice di tenere, bisogna dare fiducia per primi a sè stessi, senza chiudersi alle critiche e senza accettare che la propria personalità venga definita e descritta malevolmente dall’altro. Non bisogna delegare agli altri il proprio sentire e la percezione del proprio valore personale.

Detto ciò, per uscire da questa situazione, è fondamentale chiedere aiuto, prima che sia tardi.

È necessario lavorare sulla propria autostima e sui possibili aspetti traumatici dell’infanzia, nonché osservare le proprie emozioni, e riconoscere la paura come un’emozione sana.

Infine, bisogna creare uno spazio di protezione, di amicizie e relazioni affettive valide a cui affidarsi.

[fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/disperato-triste-depresso-piedi-2293377/]

 

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