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Perché ci specchiamo e cosa cerchiamo nello specchio?

Una delle prime azioni che compiamo al mattino appena svegli è guardarci allo specchio. Ma perché ci specchiamo e cosa cerchiamo allo specchio?

Una delle prime azioni che compiamo al mattino appena svegli è guardarci allo specchio. Ma perché ci specchiamo e cosa cerchiamo allo specchio?

Specchiarsi è una pratica quotidiana comune a tutti. C’è chi dà solo un’occhiata fugace allo specchio e chi, invece, davanti al suo riflesso ci passa le ore. Ad ogni modo, tutti si confrontano con la propria immagine. Si tratta di una tappa fondamentale della costruzione della nostra identità, che comincia da bambini ma che tutti cerchiamo di confermare e “riaggiustare” ogni giorno, a partire proprio dall’osservarci la mattina allo specchio.

Che cosa cerchiamo nello specchio?

Quando ci specchiamo, principalmente cerchiamo la conferma del nostro aspetto fisico. Secondo una recente ricerca apparsa sulla rivista Evolution e Human Behaviour, a ogni età, passiamo un sesto della vita a occuparci della nostra immagine. Gran parte di questo tempo lo trascorriamo davanti allo specchio.

C’è chi davanti alla propria immagine riflessa si trova a proprio agio e chi meno. Ciò dipende innanzitutto da come, nella mente, rappresentiamo a noi stessi il nostro corpo. Si può infatti dire che abbiamo due corpi, come spiega Giovanni Stanghellini, docente di psicologia dinamica all’Università di Chieti e autore del saggio “Selfie”: “Il primo è quello che sentiamo, ovvero la nostra “carne”, ne percepiamo lo stato (di benessere o meno), la posizione nello spazio ecc.; il secondo è quello che vediamo quando ci riflettiamo in uno specchio, o nell’acqua, o in una superficie di metallo. Nel primo caso di solito diciamo (e soprattutto pensiamo) ‘questo corpo’, nel secondo invece ‘quel corpo’ “.

“E vedersi da fuori, come un oggetto tra gli altri oggetti, porta a cogliere caratteristiche e difetti di cui “da dentro” non potremmo accorgerci”, ha aggiunto.

Gli psicologi spiegano che la percezione cenestesica del corpo, ovvero il fenomeno per cui “ci sentiamo corporei”, deve essere il più possibile in equilibrio con quella ottica, vale a dire con ciò che vediamo nello specchio, ma anche nelle foto o nei video, perché da queste due percezioni deriva l’esperienza vera e propria del corpo, dalla quale dipende almeno in parte la costruzione dell’identità personale. Inoltre, il riflesso del nostro aspetto fisico ha una attrattiva enorme sul cervello. Le ricerche di Vittorio Gallese, il celebre scienziato che ha scoperto l’importanza dei cosiddetti neuroni specchio, hanno dimostrato che se guardiamo la nostra mano in una fotografia si attivano i neuroni cerebrali necessari per muoverla molto di più di quello che succede se guardiamo la mano di un’altra persona.

Si presume dunque che la vista della nostra immagine riflessa attivi notevolmente l’encefalo, dandoci un senso del sé che secondo gli studi proviene soprattutto dalla cosiddetta corteccia insulare, una zona del lobo frontale.

L’immagine che vediamo la mattina nello specchio è quasi magnetica per la nostra mente. Raggiungere l’equilibrio ideale tra il nostro sé corporeo e quello che ci appare al di là del vetro non è per niente semplice. Ogni volta che una persona si mette davanti a uno specchio, si pettina, si trucca, indossa certi abiti, prova pose ed espressioni, non sta facendo altro che adeguare la sua immagine esteriore a un modello che ha già in testa.

Le immagini che abbiamo di noi stessi sono innumerevoli e dipendono da chi sappiamo che di lì a poco ci guarderà (un fidanzato, un collega, un capo), dal momento particolare in cui ciò si verificherà, e in generale dal contesto nel quale agiremo.

Specchi deformanti

Spesso non siamo soddisfatti del nostro riflesso, per questo proviamo a scolpirlo con diete o sessioni di fitness. In questo caso, il corpo diventa un mezzo di affermazione sociale, un po’ come avere uno stipendio alto o un lavoro prestigioso, ed essere in forma diviene uno status symbol.

“Per la nostra cultura, persona e corpo non sono la stessa cosa: il secondo è come un “attributo” della prima e quindi è qualcosa che possiamo cambiare”, spiega Stanghellini.

Il tentativo di intervenire sul proprio corpo è particolarmente marcato tra gli adolescenti che davanti allo specchio cercano un’immagine perfetta. Le parti del corpo che i giovanissimi osservano di più nello specchio sono il naso, le mani, le spalle e il volto, di cui fanno fatica ad accettare i mutamenti. Lo hanno dimostrato alcuni esperimenti condotti davanti a specchi deformanti dallo psicologo Jacques Corraze.

La parte analitica del cervello

In un noto esperimento, a un gruppo di persone sono state mostrate fotografie del viso di altri individui e delle loro case. Dopo aver memorizzato le immagini, a queste persone sono stati mostrati solo particolari delle foto, ad esempio il naso invece dell’intero viso, la porta invece dell’intera casa, ed è stato chiesto loro di chi fosse il naso o la porta in questione. Nel caso delle case, le persone riuscivano a identificarle solo guardando una porta o una finestra. Quando, invece, veniva mostrato loro un naso o un orecchio, raramente gli osservatori riuscivano ad abbinarlo al suo proprietario.

Con questo esperimento si è dimostrato che, quando osserva i volti, il nostro cervello li coglie nel loro insieme, invece, quando vede oggetti, è più analitico e ne osserva anche le singole parti.

La parte analitica è proprio quella che usiamo quando ci guardiamo allo specchio, per scrutarci ben bene.

Ma non è così che ci vedono gli altri. Ad esempio, un brufolo che a noi sembra enorme non verrà notato più di tanto.

Il riconoscimento non è immediato

È da tempo che gli scienziati studiano i sistemi cerebrali che rendono possibile il riconoscimento allo specchio. Questi si trovano in entrambi gli emisferi: in quello sinistro avviene l’identificazione veloce del proprio volto; il riconoscimento, però, potrebbe anche essere errato. A precisare meglio l’immagine, e a far sì che la persona che sta osservandosi sia sicura che si tratta davvero del proprio viso, sono i sistemi nell’emisfero destro.

Deriva dal bisogno di connettere queste due aree quella sensazione che si prova, ad esempio, quando si vede all’improvviso la propria immagine riflessa in una vetrina e si impiega una frazione di secondo prima di riconoscere se stessi. Ne deriva che la capacità di riconoscersi non è immediata, probabilmente perché è entrata di recente nella storia dell’evoluzione della nostra specie.

Gli animali, come gli scimpanzè, che sono vissuti lontano da altri conspecifici, non sono in grado di riconoscersi, ma se li si inserisce in un gruppo e imparano a interagire con gli altri e, dopo un po’ di tempo, riescono a riconoscersi allo specchio.

D’altronde, pure i bambini ci riescono soltanto intorno ai due anni, quando superano il test di Gallup: se vengono addormentati e si disegna loro un segno sulla fronte, cominciano a toccarlo solo se vengono posti di fronte a uno specchio.

Riconoscersi allo specchio vuol dire essere consapevoli di sé?

I neuroscienziati hanno spiegato che riconoscersi in uno specchio non implica la consapevolezza di sé. Le persone che sono affette da prosopagnosia, ovvero dall’incapacità di riconoscere i volti, infatti, sanno benissimo chi sono e hanno un sé consapevole anche se non riconoscono il volto che vedono nello specchio ogni mattina.

fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/le-persone-donna-specchio-bagno-2585847/

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