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Vaccino Pfizer, necessaria terza dose? Lo studio

L’efficacia del vaccino Pfizer nel prevenire il contagio cala dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale. E’ quanto emerso da uno studio non ancora sottoposto a revisione. La casa farmaceutica statunitense spinge per la terza dose di vaccino al fine di aumentare i livelli di anticorpi.

L’efficacia del vaccino Pfizer nel prevenire il contagio cala dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale. E’ quanto emerso da uno studio non ancora sottoposto a revisione. La casa farmaceutica statunitense spinge per la terza dose di vaccino al fine di aumentare i livelli di anticorpi.

Uno studio, pubblicato online senza ancora una revisione, ha esaminato l’efficacia del vaccino di Pfizer dopo 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale. Dai risultati dell’analisi, condotta su 42mila persone quando ancora non era emersa la variante Delta, si evince che l’efficacia del farmaco Pfizer nel prevenire il contagio diminuisce con il tempo scendendo, a sei mesi dalla seconda dose, dal 96% all’83,7%. Regge, tuttavia, la protezione dalle forme gravi di malattia da Covid, che rimane alta al 97%.

Questi dati riaprono il dibattito sulla terza dose che, secondo altre ricerche, aumenterebbe nuovamente le difese “perse”.

Efficacia vaccino Pfizer, i risultati dello studio

Lo studio, condotto su 42mila volontari provenienti da sei Paesi che hanno partecipato a una sperimentazione clinica iniziata da Pfizer e BioNTech lo scorso luglio e conclusasi il 13 marzo, dimostra che l’efficacia del vaccino Pfizer contro il Covid sintomatico è diminuita di circa il 6% ogni due mesi, scendendo all’83,7% dopo sei mesi.

Nello specifico, dai dati dello studio emerge che nel periodo compreso tra una settimana e due mesi dopo la seconda dose, l’efficacia è stata del 96,2 percento, mentre nel periodo compreso tra due e quattro mesi, l’efficacia è scesa al 90,1 per cento. Da quattro mesi a sei mesi, invece, l’efficacia ha raggiunto l’83,7 percento. Queste osservazioni non hanno compreso la misurazione del tasso di infezioni virali asintomatiche e sono state condotte in un periodo in cui la variante Delta, che sembra eludere più facilmente le difese dei vaccini attualmente somministrati, non era ancora diventata dominante come ora in centinaia di Paesi al mondo.

“L’efficacia ha raggiunto il picco del 96,2% durante l’intervallo da 7 giorni a <2 mesi dopo la seconda dose, ed è diminuita gradualmente all’83,7% da 4 mesi dopo la seconda dose al cut-off dei dati, un calo medio del ~6% ogni 2 mesi. È necessario un follow-up continuo per comprendere la persistenza dell’effetto del vaccino nel tempo, la necessità di una dose di richiamo e la tempistica di tale dose”, si legge nel report.

Lo studio di Israele

Il recente studio supportato dalle aziende Pfizer e BioNTech, pubblicato sul sito medRxiv in preprint, e dunque non ancora sottoposto a revisione paritaria, arriva dopo un’analisi analoga condotta in Israele che indicava che la protezione del vaccino Pfizer potrebbe essere in declino nel Paese, che ha il record di vaccinazioni Pfizer. I dati dello studio, diffusi nel mese di maggio dal ministero della salute israeliano, dimostrano un’efficacia del vaccino Pfizer pari al 94,3% nella prevenzione dei contagi asintomatici. La situazione è poi cambiata nel mese di giugno, quando la variante Delta è diventata dominante; la copertura si attestava intorno al 64%. Per quanto riguarda la malattia grave, il tasso di efficacia era in calo solo del 5%.

Terza dose necessaria?

L’aumentare dei contagi in molti Stati, dovuti soprattutto al diffondersi della variante Delta, e i risultati degli studi, potrebbero influenzare le decisioni delle amministrazioni sulla fornitura della terza dose.

In queste ore Pfizer ha condiviso i risultati delle sperimentazioni sulla terza dose del suo vaccino originale contro la variante Delta, dai quali si evince che i livelli di anticorpi sono aumentati di 5 volte tra i 18-55 anni e di 11 volte tra i 65-85 anni.

“I titoli anticorpali post terza dose contro la variante Delta sono 5 volte maggiori rispetto ai titoli post seconda dose nella fascia d’età 18-55 anni, e 11 volte maggiori rispetto ai titoli post seconda dose nella fascia 65-85 anni”, ha dichiarato l’azienda.

Secondo questi dati, dunque, la terza dose di richiamo incrementerebbe ancora di più la quantità di titoli di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta.

Tuttavia, la necessità di una terza dose resta ancora un’ipotesi, anche perché attualmente sull’argomento non c’è parere unanime. La Food and Drug Administration Usa ha dichiarato che “gli americani completamente vaccinati non hanno bisogno di una dose di richiamo in questo momento”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) che ha detto: “È troppo presto per confermare se e quando sarà necessaria una dose di richiamo per i vaccini Covid-19, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne di immunizzazione e dagli studi in corso per capire quanto durerà la protezione dai vaccini”.

Nonostante le dichiarazioni delle autorità sanitarie, alcuni Paesi, hanno già iniziato a somministrare la terza dose. La Turchia, ad esempio, è passata all’azione offrendo una terza dose di Sinovac (o Pfizer) ad alcune persone. Anche l’Indonesia e la Thailandia hanno concordato di somministrare la terza dose di Moderna e Pfizer ad alcune persone vaccinate con CoronaVac. Altri Paesi stanno pensando di somministrare la terza dose agli anziani e agli immunodepressi.

fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/vaccino-contro-il-covid-19-vaccino-5902835/

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